Ultima pubblicazione all’interno della collana Analisi e studi, il Quaderno n. 20 ripercorre l’evoluzione della normativa in materia di antiriciclaggio offrendo un’analisi dettagliata dell’attuale sistema di prevenzione e repressione dei fenomeni di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, in attesa dell’importante riforma europea, fondata sullo strumento del regolamento di diretta applicazione negli ordinamenti nazionali, che consentirà una maggiore omogeneità della disciplina e che, auspica la stessa UIF, punti <<a una semplificazione degli adempimenti formali per rendere meno oneroso il sistema e presidiare con maggiore efficacia il reale rispetto delle regole che consentono di individuare le anomalie da intercettare>>.
Tra i numerosi temi affrontati nel Quaderno, il presente contributo si sofferma sul tema della Segnalazione di operazioni sospette, presidio fondamentale previsto dal legislatore che, tuttavia, ancora oggi sembra non cogliere il favore dei Professionisti, anche in virtù del particolare rapporto fiduciario instaurato tra questi e i loro clienti. Ne è dimostrazione lo scarso numero di segnalazioni che pervengono annualmente da tali soggetti obbligati, soprattutto se raffrontato con quello prodotto dagli altri destinatari.
Tralasciando l’analisi delle ragioni del fenomeno su rappresentato – che richiederebbe un contributo dedicato – ci si sofferma sulle disposizioni impartite dal legislatore e sull’analisi effettuata dalla UIF in merito.
L’obbligo di Segnalazione di operazioni sospette
La segnalazione di operazione sospetta (S.O.S.) rappresenta il fulcro della c.d. collaborazione attiva richiesta ai destinatari della norma al fine di prevenire attività di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo; essa, infatti, consente di raggiungere l’obiettivo del legislatore di intercettare, grazie all’ausilio dei soggetti obbligati, operazioni, fatti o circostanze di plausibile interesse per gli organi investigativi, prima che questi diventino rilevanti a fini penalistici, tutelando l’integrità del sistema economico – finanziario.
Tale <<interazione virtuosa>> tra privati e istituzioni è, di fatto, basata sulla capacità dei destinatari della norma di individuare eventuali <<comportamenti criminogeni dei clienti/utenti>> – anche grazie all’applicazione di tecniche di valutazione e ponderazione dei rischi – e sulla propensione dei medesimi a dar seguito alla collaborazione attiva richiesta dal legislatore.
L’art. 35 del d.lgs. n. 231/2007 dispone che: <<i soggetti obbligati, prima di compiere l’operazione, inviano senza ritardo alla UIF, una segnalazione di operazione sospetta quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o che comunque i fondi, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa>>.
Ai diversi gradi di giudizio a cui la norma fa riferimento, conseguono diversi gradi di probabilità che un determinato evento si verifichi o si sia verificato:
- alla locuzione “sapere” corrisponde una conoscenza diretta e sicura dell’evento illecito nonché la certezza della sua sussistenza, anche evinta da specifiche risultanze documentali o da comportamenti illegittimi del cliente;
- alla parola “sospettare”, invece, può associarsi un elevato grado di probabilità circa la sussistenza dell’evento illecito, desunta da indizi riguardanti le caratteristiche e la natura dell’operazione o da ulteriori circostanze emerse;
- infine, “avere ragionevoli motivi per sospettare” si traduce nella possibilità che l’evento si verifichi anche in base al riscontro di elementi oggettivi riconducibili a indici di anomalia.
Proprio su quest’ultima formulazione si sofferma l’attenzione dell’Unità; il presupposto de quo potrebbe, a parere della UIF, giustificare un’interpretazione estensiva degli obblighi e costituire <<un tertium genus distinto e aggiuntivo al sapere o al sospettare, al quale il destinatario degli obblighi di collaborazione attiva può far ricorso nel caso di un’operazione sulla quale ha valutato la mera possibilità di connessione a riciclaggio, e effettui comunque la segnalazione pur avendone un livello di consapevolezza minimale, che confina quasi con il “non poter escludere” >>.
In tal modo, sarebbe possibile effettuare una SOS anche solo in presenza di mere anomalie, in assenza di qualsivoglia riferimento alla valutazione di coerenza con il profilo soggettivo e con le prassi operative seguite dal cliente fino a quel momento.
Tuttavia, il rischio – per altro sottolineato dalla stessa UIF – è che tale interpretazione estensiva finisca per sconfessare l’obiettivo della norma mettendo a rischio la reale efficacia del sistema di prevenzione così costruito.
Allo stesso tempo, resta fondamentale che i soggetti obbligati agiscano in base a una gradazione di consapevolezza; a tal proposito, giova evidenziare come la segnalazione delle operazioni sospette non sia subordinata alla creazione di un quadro indiziario di riciclaggio da parte del segnalante ma – come affermato dalla giurisprudenza richiamata dalla UIF (Cass., sez. II, 18 aprile 2007, n. 9312) e dalla stessa recepita all’interno delle istruzioni emanate in merito alle SOS – debba essere subordinata, al contrario, unicamente a un giudizio puramente tecnico di valutazione degli elementi oggettivi e soggettivi che caratterizzano le operazioni individuate.
Per le ragioni su esposte, non si può prescindere da un approccio valutativo sostanziale che origini dalla corretta esecuzione dell’adeguata verifica quale strumento fondamentale per una <<compiuta valutazione di coerenza sull’operatività del segnalato, sulle sue controparti, sugli importi e sugli strumenti utilizzati per il suo sviluppo>>.
Quanto all’oggetto del sospetto, l’Unità di informazione finanziaria sottolinea come vadano prese in considerazione le condotte previste dall’art. 2 del d.lgs. n. 231/2007. Si tratta della c.d. “nozione amministrativa del riciclaggio” caratterizzata da una maggiore ampiezza rispetto all’ambito penale nella definizione delle condotte e nell’individuazione dei presupposti oggettivi e soggettivi in presenza dei quali sorge l’obbligo di segnalazione.
Si rammenta, inoltre, che la portata del sospetto è estesa anche alla <<provenienza dei fondi da attività criminose, indipendentemente dalla loro entità>> (riferimento introdotto dal d.lgs. n. 90/2017). Tale estensione, in ogni caso, non fa venir meno la necessità di verificare la sussistenza <<di una specifica finalità dissimulatoria di tale origine dei beni o l’intento di aiutare chiunque sia coinvolto nell’attività criminosa, affinché si sottragga alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni, rilevabile anche in base a circostanze di fatto obiettive>>.
Infine, in relazione all’art. 35, merita un approfondimento l’esenzione dall’obbligo prevista dal comma 5 per professionisti che vengano a conoscenza di determinate informazioni nel corso dell’esame della posizione giuridica o dell’espletamento dei compiti di difesa o rappresentanza del cliente. Oltre alle garanzie derivanti dal diritto ad un giusto processo, infatti, sussiste per il professionista un dovere deontologico di segretezza e riservatezza delle informazioni acquisite in ambito difensivo, confermato dall’art. 35 c. 5 del d.lgs. n. 231/2007. Nel merito si è, inoltre, pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ribadendo che la collaborazione attiva ai fini antiriciclaggio è limitata alle sole informazioni non direttamente pertinenti l’attività di difesa.
È la stessa UIF, tuttavia, a sottolineare come, nonostante la meticolosità con la quale il legislatore abbia circoscritto tale esenzione sia faticoso <<nella pratica quotidiana, riuscire a distinguere la tipologia e la destinazione delle informazioni raccolte>>.
Val la pena in ogni caso ricordare che, secondo quanto affermato dalla Guardia di Finanza in occasione di Telefisco 2022 (convegno annuale de “L’esperto risponde-Il Sole 24 Ore”), l’esenzione de quo trova applicazione anche ai Professionisti che operino in qualità di Consulente Tecnico di Parte a seguito di nomina all’interno di un giudizio da parte di un avvocato, trattandosi anche in questo caso di “compiti di difesa” di cui all’art. 35, co. 5, del d.lgs. n. 231/2007.
La rilevazione del sospetto e le modalità di segnalazione
Il documento in parola prosegue la trattazione del tema “SOS” analizzando anche l’emersione del sospetto e le procedure di segnalazione, richiamando il contenuto dell’art. 36 del d.lgs. n. 231/2007, dedicato – com’è noto – a intermediari bancari e finanziari, agli altri operatori finanziari, alle società digestione degli strumenti finanziari e ai soggetti convenzionati ed agenti.
In assenza di una norma analoga per i professionisti, perché l’art. 37, agli stessi dedicato, non ha un contenuto prescrittivo così dettagliato, la necessità di avvalersi “anche mediante l’ausilio di strumenti informatici e telematici, di procedure di esame delle operazioni che tengano conto, tra le altre, delle evidenze evincibili dall’analisi dei dati e dalle informazioni conservate” secondo le regole previste dal medesimo decreto antiriciclaggio, è stata formalizzata, come nel caso dei dottori commercialisti, all’interno delle c.d. “Regole Tecniche”.
Pertanto, volendo mutuare a beneficio proprio dei professionisti l’esito della disamina condotta dall’UIF, appare evidentemente condivisibile il richiamo ad un set di controlli e procedure di rilevazione deputate a cogliere finanche i soli motivi ragionevoli di sospetto richiesti dall’art. 35.
Va da sé che l’enfasi posta sull’accountability del processo segnaletico deve necessariamente essere tarata, rispetto a notai, avvocati e commercialisti – ricorrendo all’esercizio di autovalutazione del rischio – sul numero di clienti gestiti, sulle dimensioni dello studio in termini di numero di soggetti materialmente coinvolti sin dall’adeguata identificazione di cliente, esecutore – se presente – e titolare effettivo e, ragionevolmente deputati alla prima rilevazione del sospetto.
Ciò a dire che organizzazioni professionali a compagine ristretta – a tacere del caso dello studio unipersonale – devono comunque dotarsi di pacchetto di misure di rilevazione che permetta loro di adempiere all’obbligo segnaletico allineati al contesto operativo/dimensionale di riferimento.
Ne deriva che il ricorso ad automatismi e supporti informatici dedicati, di ausilio probabilmente imprescindibile per intermediari bancari, finanziari ed agenti degli stessi, assume una vitale importanza quanto meno sotto il profilo dell’emersione di dati da analizzare.
È altrettanto vero che a fare da contraltare ai benefici dell’automatismo – raccomandato dall’UIF – si riscontra la rilevazione di un consistente numero di falsi positivi legato, in buona sostanza alla differente fruibilità da parte di soggetti obbligati, di grandi dimensioni, dei controlli qualitativi e quantitativi sulle potenziali “SOS”.
I primi tra i controlli appena citati sono finalizzati all’individuazione di anomalie in relazione al comportamento del cliente e/o alle caratteristiche peculiari dell’operazione richiesta e/o del rapporto continuativo da aprire e, molto spesso, se basati sulla corretta formazione dell’incaricato e su una procedura di rilevazione consona, sono i più idonei a far emergere elementi di sospetto.
I controlli quantitativi, normalmente eseguiti ex post, sono deputati ad intercettare elementi di fatto che, su volumi operativi consistenti, per numero di ricorrenze normalmente occorse, implicano una successiva attività di scrematura. Per tale attività – su grandi numeri, si ribadisce – gli automatismi di rilevazione cari alla vigilanza hanno un’utilità specifica ed innegabile.
Difficile, salvo casi eccezionali, che possano fornire output di analoga apprezzabilità nel contesto dell’attività professionale.
Ad ogni buon conto, le citate “Regole Tecniche” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili contengono un adeguato pacchetto di misure finalizzate all’emersione degli elementi di sospetto così come delineata dall’UIF all’interno del Quaderno in parola, laddove, all’interno dell’individuazione dell’iter logico del processo di segnalazione:
- si enuncia, tra le finalità della procedura ivi descritta, l’individuazione degli strumenti utilizzati e delle responsabilità nel processo; l’identificazione delle operazioni a rischio di riciclaggio e la predisposizione di meccanismi di monitoraggio delle attività a rischio consente al professionista;
- si prevede un sistema di reportistica interna all’organizzazione professionale, preordinato all’elaborazione del flusso canalizzato tramite INFOSTAT.